Diritto tributario

Tangenti – soggette a fisco

2005-12-1 Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, sentenza n.20061/2005 TESTO (Presidente: U. Favara; Relatore: U. D?Alessandro) LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA SENTENZA SVOLGIMENTO DEL PROCESSO A seguito di un rapporto del nucleo di P.T. della Guardia di Finanza di Milano, relativo ad indagini di P.G. riguardanti la cosiddetta vicenda ENIMONT, l?Ufficio Distrettuale delle Imposte Dirette di Ravenna accertò ai fini IRPEF ed ILOR per l?anno 1991 un maggior reddito non dichiarato da C. S. di £ 820.000.000. Contro l?avviso di accertamento notificatogli il 19/4/1994 il S. propose ricorso alla Commissione tributaria di 1° grado di Ravenna, che successivamente sospese il giudizio in considerazione della pendenza presso il Tribunale di Milano di un procedimento penale a carico dello stesso S. per il reato di appropriazione indebita proprio in relazione alla disponibilità della somma in questione. Venne successivamente notificato al S., in data 28/10/1996, un avviso di accertamento integrativo nel quale, richiamato il precedente accertamento, erano inoltre recuperati a tassazione redditi di lavoro autonomo non dichiarati, sempre per l?anno 1991, per un importo di £ 3.000.000.000, sulla base di dichiarazioni rese al medesimo S. dinanzi al Procuratore della Repubblica di Milano ed acquisite ai sensi dell?art. 33, comma 3, del D.P.R. n. 600 del1973 [1]. Anche il secondo avviso di accertamento venne impugnato dal contribuente. Il giudice tributario, revocata la precedente ordinanza di sospensione relativa al primo accertamento, rigettò il ricorso ritenendo adeguatamente provata la pretesa dell?Ufficio sulla base delle dichiarazioni confessorie rese dallo steso contribuente nel procedimento penale. Contro la sentenza di primo grado interpose appello il S., in sostanza deducendo l?inutilizzabilità nel processo tributario delle prove orali acquisite in sede penale, l?intassabilità dei maggiori introiti accertati, in quanto provento di reato, e la natura comunque non reddituale degli introiti stessi. L?appello venne rigettato dalla Commissione tributaria regionale dell?Emilia Romagna. Contro la sentenza di secondo grado il S. propone ricorso per cassazione (notificato il 16/9/1999 e depositato il 5/10/1999(, affidato a quattro motivi. L?Amministrazione finanziaria resiste con controricorso. MOTIVI DELLA DECISIONE Con il primo motivo il ricorrente, sotto il profilo della violazione e falsa applicazione degli artt. 23, comma 1, 54 e 56 del D.Lgs. n. 546 del 1992, censura la sentenza impugnata per aver ritenuto ammissibile, pur in presenza di una rituale eccezione, la tardiva costituzione in giudizio dell?Ufficio in appello. Al riguardo, il ricorrente muove dal presupposto che l?art. 56 del D.Lgs. n. 546 del 1992 debba essere interpretato nel senso che anche la parte vittoriosa in primo grado deve costituirsi, in appello, nel termine previsto dall?art. 23, comma 1, richiamato dall?art. 54, pena la formazione di un giudicato interno preclusivo di tutte le questioni non tempestivamente riproposte, pur se accolte in primo grado. Il mezzo è inammissibile, attenendo ad una questione totalmente irrilevante ai fini della decisione. Contrariamente a quanto il ricorrente ritiene, infatti, la tardiva o anche la mancata costituzione dell?appellato, totalmente vittorioso in primo grado, non comporta alcuna preclusione riguardo alla disamina, da parte del secondo giudice, delle questioni ed eccezioni accolte nella sentenza oggetto di gravame, riferendosi espressamente la preclusione di cui all?art. 56 del D.Lgs. n. 546 del 1992 alle sole questioni ed eccezioni non accolte nella sentenza della commissione provinciale. Tanto basta a rendere superfluo l?esame del mezzo. Con il secondo motivo il ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione dell?art. 33, comma 3, del DPR n. 600 del 1973, deduce l?inutilizzabilità, ai fini tributari, degli atti del processo penale posti a base dell?accertamento, poiché sarebbero stati acquisiti illegittimamente, in base all?autorizzazione di un organo giudiziario diverso da quello competente ai sensi dell?art. 116, comma 2, c.p.p. Anche il secondo motivo è inammissibile, in quanto nuovo, trattandosi di un profilo per la prima volta evocato, tardivamente, con una memoria depositata nel corso del giudizio di appello e per tale motivo non esaminato dal giudice di secondo grado. Giova in ogni caso ricordare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, l?autorizzazione prevista dall?art. 33, comma 3, del DPR n. 600 del 1973 è posta a tutela della riservatezza delle indagini penali e non dei soggetti coinvolti nel relativo procedimento o di terzi, cosicché nessuna conseguenza può derivare, quanto all?utilizzabilità degli atti, dall?incompetenza dell?organo che l?ha concessa (Cass., 15538/02). Con il terzo motivo il S. si duole, sotto l?esclusivo profilo della omessa e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, della acritica utilizzazione da parte del giudice di secondo grado, quali mezzi di prova, delle dichiarazioni da lui rese nel procedimento penale. Il terzo motivo è infondato. La questione relativa alla natura ed al valore probatorio delle dichiarazioni rese dal S. in sede penale, in qualità di indagato, ha costituito oggetto di specifico esame da parte del giudice di secondo grado (pagg. 11,13 della sentenza), il quale, dopo aver correttamente escluso che tali dichiarazioni siano assimilabili a testimonianze, proprio in quanto provenienti dal contribuente indagato, conclude con adeguata e coerente motivazione nel senso di attribuire ad esse valore di dichiarazioni confessorie, liberamente valutabili dal giudice tributario e nella specie idonee a costituire prova esclusiva della fondatezza dell?accertamento, anche perché mai ritrattate dallo stesso contribuente. Il principio secondo cui la confessione resa in sede penale è utilizzabile dal giudice tributario anche come prova esclusiva della pretesa tributaria è d?altro canto conforme alla giurisprudenza di questa Corte (Cass., 9320/03). La sentenza impugnata risulta dunque immune dal dedotto vizio di motivazione sotto il profilo considerato. Con il quarto ed ultimo motivo il ricorrente lamenta omessa e contraddittoria motivazione in ordine alla natura reddituale ed alla conseguente tassabilità delle maggiori somme accertate dall?Ufficio, che assume oltre tutto non provate quanto al loro ammontare. In particolare, deduce di non essersi mai appropriato delle somme di cui si tratta, che avrebbe ricevuto al solo fine di effettuare un finanziamento occulto a partiti politici, come del resto sarebbe confermato dalla sentenza con cui questa stessa Corte, riformando la sentenza di condanna emessa dalla Corte di appello di Milano, ha escluso che nella fattispecie ricorresse il reato di appropriazione indebita. Il quarto motivo è inammissibile, in quanto fondato su una prospettazione di fatto del tutto nuova. In appello il S. aveva infatti sostenuto la tesi, esattamente opposta, che le somme in questione fossero intassabili proprio in quanto provento del reato di appropriazione indebita e tale assunto era stato disatteso, con adeguata motivazione, dalla Commissione tributaria regionale (pagg. 13 e 14 della sentenza), in base alla considerazione che lo stesso contribuente, nelle dichiarazioni rese al Pubblico Ministero, aveva qualificato dette somme come redditi di lavoro autonomo percepiti nella dichiarata qualità di top manager e ricompensa del lavoro svolto. Circa il quantum, è sufficiente rilevare che nessuna contestazione al riguardo era stata sollevata in sede di appello. Il ricorso va, conclusivamente, rigettato, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese, che si liquidano in Euro 7.200,00 di cui Euro 7.000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 7.200,00, di cui Euro 7.000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge. 1° giugno 2005. Depositata in Cancelleria il 24 ottobre 2005.