Diritto di famiglia

Separazione, consensuale, poi giudiziale, avvocato – illecito disciplinare

2006-1-17 Cassazione Sezioni unite civili Sentenza 10 gennaio 2006, n. 134 TESTO SVOLGIMENTO DEL PROCESSO L’avvocato B.G. è stata sottoposta a procedimento disciplinare definito dal Consiglio dell’Ordine con la sanzione dell’avvertimento in quanto nella qualità di avvocato ha prima assistito due coniugi in un giudizio di separazione non conclusosi con omologa, ed ha poi assunto la difesa del marito nel giudizio di separazione personale. La decisione è stata confermata dal C.n.f. Avverso la decisione l’avvocato G. ha proposto ricorso per cassazione. Il Consiglio dell’Ordine non ha svolto attività difensive in questa sede. MOTIVI DELLA DECISIONE Con il primo motivo la ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 3 del codice deontologico e omessa motivazione in quanto erroneamente il C.n.f. ha ritenuto sufficiente l’accertamento della mera condotta e non ha richiesto anche il requisito dell’elemento soggettivo. Con il secondo motivo la ricorrente ha denunciato violazione e falsa applicazione dell’art. 37, comma 2, n. II del codice deontologico e vizio di motivazione in quanto per configurare l’illecito contestato non basta un conflitto di interessi potenziale, ma è necessario un conflitto reale. Ha aggiunto che la norma contiene una precisa indicazione temporale dell’insorgenza dell’obbligo di astensione, che non è quindi configurabile sempre, ma solo nel momento preciso nel quale si palesi concreto il conflitto di interessi. Anche la previsione del codice deontologico europeo conferma che l’obbligo di astensione sussiste quando vi sia un rischio serio di conflitto. Ritiene la Corte che il ricorso è infondato e deve essere rigettato. L’art. 37 del codice deontologico è composto da più commi: a) il primo, contiene una previsione di carattere generale relativa all’obbligo di astensione per un avvocato allorché l’attività professionale determina un conflitto con gli interessi di un proprio assistito o interferisca con lo svolgimento di altro incarico anche non professionale; b) il secondo, contiene una previsione esemplificativa, relativa ad ipotesi nelle quali si ritiene sussista il conflitto di interessi. Trattasi di ipotesi configurabili nei vari settori dell’ordinamento e non limitate a materie particolari, per cui la norma ha una valenza generale; c) il terzo, dispone in maniera specifica che «L’avvocato che abbia assistito congiuntamente i coniugi in controversie familiari deve astenersi dal prestare la propria assistenza in controversie successive tra i medesimi in favore di uno di essi». Questa previsione normativa è molto puntuale e riguarda un settore particolare e sensibile dell’ordinamento. Evidentemente, proprio per le caratteristiche della materia familiare, la norma pone per l’avvocato un obbligo assoluto di astensione, a prescindere se il conflitto è reale o solo potenziale. La norma è chiara ed ha una sua ratio dal momento che nella materia del diritto di famiglia sono in gioco interessi altri, collegati alla dignità della persona, che meritano il massimo della tutela possibile. Nel contesto dell’art. 37, il principio contenente l’obbligo assoluto di astensione si pone come speciale e prevalente rispetto a quello contenuto nel comma 1, che non può trovare quindi applicazione. La valutazione, nella materia del diritto di famiglia, è stata fatta una volta per tutte dalla norma, per cui all’interprete compete solo l’accertamento del fatto che costituisce il presupposto per quell’effetto. Anche la censura relativa al cosiddetto elemento soggettivo dell’illecito è infondata poiché nella decisione impugnata è stato sostenuto correttamente che «vertendosi in tema di illecito disciplinare è sufficiente accertare la mera volontarietà della condotta, a nulla rilevando l’elemento soggettivo, a colpa o dolo, semmai valutabile per determinare la gravità dell’illecito e la relativa sanzione». Questa valutazione è conforme alla previsione contenuta nel comma 1 dell’art. 3 del codice deontologico, secondo il quale «La responsabilità disciplinare discende dalla inosservanza dei doveri e dalla volontarietà della condotta, anche se omissiva», Nulla va disposto per le spese non avendo il Consiglio dell’ordine svolto attività difensive in questa sede. P.Q.M. Rigetta il ricorso.