sentenze

Cassazione -sbalzi corrente elettrica

La Corte Suprema conferma la condanna dell’Enel per responsabilità contrattuale

Cassazione civile , sez. III, 15 maggio 2007, n. 11193

Fatto

Con sentenza 17-20 giugno 2003 il Tribunale di Chieti, decidendo in grado di appello, accoglieva la domanda di L.L., condannando l’ENEL al pagamento della somma di Euro 2.020,23 in conseguenza di uno sbalzo di corrente elettrica all’interno della propria abitazione, che aveva causato il danneggiamento di vari elettrodomestici di sua proprietà, nonchè l’irreparabile deterioramento di una certa quantità di pesce, conservato in frigorifero.
I giudici di appello hanno osservato che poichè l’attività svolta dall’ENEL, finalizzata alla produzione ed alla fornitura di energia elettrica, era considerare comunque attività pericolosa, doveva trovare applicazione la presunzione di responsabilità prevista dalla legge.
Nel caso di specie, la società non aveva fornito alcuna prova della addebitabilità dell’accaduto al cosiddetto caso fortuito.
Quanto ai danni riportati dal L. a seguito dello sbalzo di tensione nella fornitura di energia elettrica, il Tribunale rilevava – sotto altro profilo – che era stata raggiunta piena prova dell’esistenza e della entità di tali danni.
Avverso tale decisione l’ENEL ha proposto ricorso per cassazione sorretto da tre distinti motivi.
Resiste il L. con controricorso.
La Procura Generale ha depositato conclusioni scritte ai sensi dell’art. 375 c.p.c. chiedendo il rigetto del ricorso.
L’ENEL ha depositato memoria difensiva.

Diritto

Con tre distinti motivi la società ricorrente deduce:
– violazione e falsa applicazione dell’art. 330 c.p.c., R.D. 22 gennaio 1934 n. 37, art. 82, erronea motivazione del giudice del grado di appello su un punto decisivo della controversia.
La notifica dell’atto di impugnazione 19 novembre 2002 era stata effettuata ad istanza del difensore della parte appellante alla controparte personalmente, presso la cancelleria del giudice di primo grado, luogo che costituiva ex lege domicilio del procuratore dell’ENEL Distribuzione s.p.a. ai sensi e per gli effetti del R.D. n. 37 del 1934, art. 82.
Tale notifica doveva ritenersi del tutto inesistente, secondo il costante insegnamento di questa Corte.
Infatti, non vi era stata dichiarazione di residenza nè elezione di domicilio all’atto della notifica della sentenza (mai avvenuta).
Doveva pertanto trovare applicazione l’art. 330 c.p.c. secondo il quale l’atto di impugnazione deve essere notificato al procuratore costituito presso la residenza dichiarata o il domicilio eletto per il giudizio.
Il motivo appare infondato.
Quando sia mancata, come nel caso di specie, la notificazione della sentenza, l’atto di impugnazione deve essere notificato, ai sensi degli articoli 330 e 170 c.p.c. presso il procuratore domiciliatario, a meno che la parte risulti costituita personalmente in giudizio.
Tale modalità di notifica si impone, tra l’altro, anche allorchè il procuratore costituito, esercitando il proprio ufficio nell’ambito di un giudizio che abbia a svolgersi al di fuori della circoscrizione del tribunale cui egli risulti assegnato, non abbia provveduto – come nel caso di specie – ad eleggere domicilio nel luogo in cui ha sede l’autorità giudiziaria investita della controversia (Cass. 25 agosto 1998 n. 842 6, 7 marzo 2001 n. 3273, 17 maggio 2002 n. 7214).
Chiaramente infondate paiono, infine, le osservazioni della società ricorrente in ordine al fatto che in questo caso la notifica sarebbe stata effettuata non al procuratore, ma alla parte personalmente:
Infatti, la notificazione dell’impugnazione alla parte presso il procuratore costituito, a norma dell’art. 330 c.p.p., comma 1, deve considerarsi equivalente alla notificazione al procuratore medesimo ai sensi dell’art. 84 c.p.c., giacche il citato art. 330 c.p.c. si limita ad identificare il luogo della notificazione, mentre la vocatio in ius relativamente all’impugnazione ha quale destinatario la parte personalmente.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 132 e 118 c.p.c..
I giudici di appello hanno ritenuto che la decisione del giudice di pace fosse del tutto priva di motivazione.
In realtà, il primo giudice aveva preso in esame tutte le risultanze istruttorie, sottolineando la ininfluenza delle dichiarazioni rese dai testimoni, i quali avevano riferito solo di quanto accaduto loro (riferendo, in particolare, di essere stati risarciti dall’ENEL o dalla compagnia di assicurazione in un caso consimile di sbalzo di tensione verificatosi nella fornitura di energia elettrica).
L’esposizione del ragionamento seguito dal primo giudice era da considerare, peraltro, del tutto logica e priva di errori giuridici.
Con il terzo motivo la ricorrente deduce il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su alcuni punti decisivi della controversia.
Il contratto di somministrazione di energia elettrica per uso domestico, sottoscritto anche dall’utente L.L., conteneva una clausola che prevedeva espressamente l’esonero da ogni responsabilità della società erogatrice nelle ipotesi in cui, per cause accidentali, si fossero verificate interruzioni o limitazioni di fornitura oppure sbalzi di frequenza o di tensione .
I giudici di appello avevano ignorato tale argomento, che pure era stato ritualmente dedotto, per escludere ogni responsabilità della società appellata.
Gli stessi giudici avevano pure omesso di richiamare la deposizione resa dal dipendente ENEL, sentito in corso di causa, il quale aveva precisato di non avere notato alcuna anomalia presso la cabina elettrica che distribuisce l’energia elettrica alla abitazione del L. (essendo presente nella immediatezza dei fatti nelle vicinanze della stessa) e di non avere ricevuto alcun appunto o denunzia di danni da parte degli utenti serviti da tale cabina.
Anche questi due motivi, da trattare congiuntamente in quanto connessi tra di loro, sono del tutto infondati.
Attraverso la denuncia di vizi di violazione di norme e di motivazione, la ricorrente tende – in effetti – ad ottenere una diversa interpretazione delle risultanze processuali, inammissibile in questa sede.
Dopo aver sottolineato che il primo giudice aveva omesso di spiegare il ragionamento che lo aveva indotto a ritenere di nessuna rilevanza gli elementi probatori già acquisiti al processo, i giudici di appello avevano motivato la decisione di accoglimento delle domande del L., richiamando la mancata risposta del legale rappresentante dell’ENEL, il comportamento processuale tenuta dalla stessa convenuta ed, infine, le dichiarazioni rese da alcuni testimoni, che avevano riguardato il fatto specifico dal quale traeva origine la domanda di risarcimento del danno proposta dall’utente.
I giudici di appello hanno quindi adempiuto all’obbligo di motivazione, rendendo una ampia e logica ricostruzione delle risultanze processuali, giustificando il proprio convincimento sulla impossibilità di applicare l’esimente del caso fortuito, ed hanno concluso nel senso della responsabilità della società resistente per attività pericolosa, ai sensi dell’art. 2050 c.c..
Sotto altro profilo, il giudice non ha l’obbligo di esaminare tutti gli argomenti logici e giuridici prospettati dalle parti per sostenere le loro domande ed eccezioni, essendo sufficiente che nella motivazione sia chiaramente illustrato il percorso logico seguito per giungere alla decisione quando sia comunque desumibile la ragione per la quale ogni contraria prospettazione sia stata disattesa.
Parimenti, e da ciò – sotto altro profilo – la definitiva inammissibilità del gravame, la società ricorrente ha omesso di indicare specificamente quali fonti di prova il giudice di appello avrebbe omesso di esaminare, considerato che le dichiarazioni del teste C. sono state ampiamente valutate e persino richiamate in sentenza (pag. 8, quinto rigo; V. Cass. 7 novembre 1996 n. 9711).
Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato, con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come in dispositivo.



fonte: lexform.it