Cass., sez. III, sentenza 29 febbraio 2008, n. 5510
Svolgimento del Processo
A seguito di licenza per finita locazione di immobile adibito ad uso diverso da abitazione, convalidata per la scadenza del 30 maggio 1998, F.F., titolare dell’impresa individuale I.-E. Spedizioni chiedeva il riconoscimento dell’indennità per la perdita di avviamento commerciale. Sulla resistenza dei locatori M. G.M., I. F.e P. F., il Tribunale di Firenze accoglieva la domanda con sentenza del 9 dicembre 2002. Il gravame di parte locatrice veniva accolto dalla Corte d’Appello fiorentina il 14 gennaio 2004.
Rilevato che il F. svolgeva attività di spedizioniere internazionale e non soltanto di spedizioniere doganale, il giudice di secondo grado riteneva che questi non dovesse limitarsi a provare il contatto con i clienti presso la sede della ditta nell’immobile locato, ma dovesse dimostrare che quel sito fosse “imprescindibile luogo di incontro con un indistinto pubblico di tenti o consumatori”. In mancanza di tale prova e ritenendo che i clienti si rivolgessero allo spedizioniere indipendentemente dalla sua sede, come avviene per i clienti di un professionista, la Corte ne escludeva il diritto all’indennità di avviamento e, riformando la sentenza impugnata, respingeva la domanda.
Avverso questa sentenza, parte conduttrice propone otto motivi di ricorso per cassazione. I M.-F. hanno resistito con controricorso; hanno spiegato ricorso incidentale condizionato, volto a far affermare l’inesistenza del diritto del conduttore a percepire l’indennità.
Motivi della decisione
Preliminarmente va disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale, ai sensi dell’art.335 cp.c.
a) Con il primo e secondomotivo di ricorso, denunziando violazione di legge e vizio del procedimento, il F. lamenta che presupposto della sentenza sarebbe stata l’assenza di prova in ordine alla dimostrazione che nell’immobile locato vi fossero richiami o insegne tali da attirare la clientela, profilo che non sarebbe stato sollevato davanti al giudice d’appello, il quale avrebbe ampliato il tema del decidere, come invano eccepito nella memoria di costituzione nel secondo grado di giudizio. La lettura del ricorso in appello proposto dai locatori, consentita in sede di legittimità perché la doglianza attiene a un vizio procedimentale, permette di rilevare che non soltanto venne censurata la mancanza di prova in ordine alla frequentazione dei locali da parte di una generalità indifferenziata dei destinatari dei beni o servizi commerciali, sottolineando che uno dei testi, pur cliente da sei anni, non ne conosceva l’ubicazione, ma venne anche sollecitata una revisione dei presupposti per conseguire l’indennità Nell’interpretare la normativa sul punto, alla Corte d’appello era quindi consentito ricostruire sia la natura dell’attività svolta sia se fosse stata offerta la prova qualificante del contatto diretto con il pubblico degli utenti, individuando le caratteristiche della categoria degli utenti e l’atteggiarsi della conduzione dell’immobile al fine di provocare il contatto con gli stessi. Ne consegue che i motivi non sono fondati.
b) Con il terzo motivo il conduttore critica la sentenza di merito per aver negato l’indennità di cui all’art 35 L 392/78 adducendo la mancanza di prova sul fatto che l’immobile, quale “imprescindibile luogo di incontro tra imprenditore e pubblico degli utenti” fosse individuato da un’insegna o da un cartello o da altro mezzo idoneo a richiamare l’attenzione del pubblico. Questi presupposti – e in particolare la pretesadi una prova ulteriore rispetto all’esistenza del contatto con la clientela – sarebbero stati erroneamente richiesti dalla Corte d’appello, sia male interpretando la norma (violazione di legge), sia scorrettamente valutando le prove testimoniali (vizio di motivazione),sia perché non oggetto di ricorso in secondo grado. Salvo che per quest’ultimo profilo, già esaminato nel paragrafo precedente, il motivo di ricorso coglie nel segno.
L’art. 35 della legge 392/78 nega il diritto all’indennità di cui all’articolo precedente ai rapporti di locazione relativi ad attività “che non comportino contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, nonché destinati all’esercizio di attività professionali, ad attività di carattere transitorio” etc..
La Corte d’appello ha interpretato questa norma, citando un precedente della Corte di Cassazione,nel senso che i clienti dell’imprenditore debbano essere una collettività indeterminata di fruitori finali dei beni e servizi dell’azienda, per attirare la quale debbano quindi esservi, in corrispondenza della sede dell’impresa, insegne o altri mezzi di richiamo, atti a convogliare il casuale cliente. Più esplicitamente il giudice d’appello ha sostenuto che “può tranquillamente considerarsi provata” la circostanza che i clienti del F. “si recavano presso la sede della ditta, nella quale trattavano e concludevano i singoli affari”, ma che tale prova sarebbe insufficiente, necessitando “un di più” costituito da mezzi di richiamo della clientela, in mancanza dei quali non vi potrebbe essere “attività a diretto contatto con il pubblico”.
Questa lettura della norma è errata. Il legislatore ha posto come condizione per il riconoscimento del diritto all’indennità soltanto la effettiva destinazione dell’immobile ad attività che comporta il contattocon il pubblico dei clienti, contatto che è stato considerato pacificamente provato dal giudice d’appello, essendo risultato che presso quei locali l’imprenditore riceveva i clienti e con essi concludeva gli affari. La circostanza che i locali non fossero particolarmente evidenziati, salvo il nominativo sul campanello d’ingresso dello stabile, è irrilevante, poiché non solo l’accesso all’attività dello spedizioniere F. non era precluso a chi per la prima volta volesse avvalersi dei suoi servizi, ma in nulla incide che la generalità dei clienti venga raggiunta avvalendosi di insegne pubblicitarie o con altri mezzi di offerta dei beni o dei servizi (si veda, per un caso affine, Cass. n. 2646/98 rv. 513555). E’ normale che molteattività, che si rivolgono a una fascia di clienti numericamente ristretta, che abbisogna di particolari servizi, (come quelli dello spedizioniere), non affrontino inutili costi di insegne per pubblicizzarsi presso la clientela,preferendo altre vie per acquisirla. Il punto che qualifica l’uso dell’immobile ai fini dell’indennità non è l’entità numerica della cerchia di avventori raggiunta o il reperimento di essa tra i passanti della pubblica via antistante l’immobile locato: ciò che rileva è che quei locali in cui si svolge l’attività vengano aperti alla frequentazione diretta dei clienti che abbiano necessita e interesse ad entrare in contatto con l’impresa. La clientela, nel caso di specie, in considerazione dell’attività, poteva essere stabile e limitata, ma nulla impediva che vi fossero mutamenti di essa, con l’acquisizione di nuovi soggetti e la perdita di altri, a conferma del carattere “indifferenziato”del pubblico dei consumatori, che non è da confondere, come ha fatto la sentenza d’appello, con il concetto di cliente occasionale. Giova in proposito ricordare che questa Corte (Cassn. 11896/98 rv 521053; n. 11865/98 rv 521023; 1304/89 rv 598928) ha affermato che l’immobile – inserito nell’organizzazione aziendale e, pertanto, funzionale alla produttività dell’impresa e suscettibile di influire nel volume degli affari – assume anche il valore di un fattore di avviamento, la cui perdita deve essere indennizzata, a nulla rilevando che i beni offerti in vendita, per la loro natura strumentale, possano interessare in concreto soltanto un numero limitato di clienti per la loro attività lavorativa.
Terzo e quarto motivo vanno pertanto accolti.
Con il quinto motivo il conduttore critica la sentenza d’appello per non aver dichiarato inammissibile, perché nuova, la doglianza circa la “qualifica della Propria attività come professionale anziché imprenditoriale”, quale “fatto non dedotto in primo grado”. La censura è infondata. Il denunziato vizio di ultrapetizione, correttamente presentato, non sussiste perché smentito dall’esame degli atti. In particolare va riletto l’ultimo capoverso di pag. 4 (e la seguente pag. 5 primo rigo) della memoria difensiva depositata dai locatori il 24 maggio 2000, ove essi esponevano al tribunale che “l’elemento che veniva in rilievo” era “la stima e la fiducia nella capacità dell’operatore o del professionista quale sicuramente il sig. F.”. Si invocava per questo motivo l’esclusione dell’indennità, non sussistendo collegamento con l’utilizzazione dell’immobile.
Queste considerazioni valgono a respingere anche il sesto motivo di ricorso, con cui, ritornando sulla novità della doglianza circa la natura dell’attività svolta, il F. censura la Corte gigliata per non aver considerato che era generica la confutazione, esposta dai locatori in memoria difensiva, circa il carattere non imprenditoriale dell’attività. La tesi non e fondata, perché inequivocabile e puntuale era il ragionamento della parte locatrice, che aveva insistito, nelle righe della memoria sovraindicate, nell’assimilare la figura dello spedizioniere alle “attività professionali anch’esse escluse dall’indennità”.
Il settimo motivo di ricorso, con cui si chiede di affermare che la natura dell’attività svolta consentiva il sorgere il diritto all’indennità di cui all’art. 35, è invece fondato. Il ricorrente lamenta la violazione della normativa di cui alla legge 392/78 in tema di indennità, nonché delle norme del codice che descrivono l’imprenditore e della normativa speciale in materia di spedizionieri.
In senso opposto a questomotivo, i M.-F. con il ricorso incidentale criticano la sentenza d’appello per non aver configurato l’attività svolta nell’immobile quale attività professionale.
Il doppio contrapposto ricorso si spiega con la intrinseca contraddittorietà della pronuncia impugnata, la cui parte motiva (pag 7 e 8) esordisce assumendo che all’appellato, in quanto spedizioniere internazionale e non solo doganale, non poteva attribuirsi la semplice qualifica di professionista. Nella parte finale però si assimila il contatto dei clienti con il conduttore, presso l’immobile locato, a quello che si svolgedi regola con uno specifico professionista, così in qualche modo evocando gli effetti di tale qualificazione.
Fondatamente il F. sostiene che lo spedizioniere rientra nella nozione di imprenditore di cui all’art. 2082 c.c., poiché esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine dello scambio di servizi. E’ da ritenere che l’attività dello spedizioniere sia tale: essa infatti, essendo caratterizzata dalla intermediazione tra cliente e vettore al fine della conclusione del contratto di trasporto,e quindi alla circolazione dei beni, è attività commerciale e non industriale, senza che la eventualità, ancorché ricorrente, del compimento di operazioni accessorie, possa valere a snaturare tale connotato primario di detta attività. Così questa Corte ha ritenuto (Cass 7484/96 rv 499183) a proposito dell’applicabilità degli sgravi contributivi previsti per le imprese industriali, ma la definizione è qui utilizzabile, perché ha colto gli inequivocabili caratteri essenziali dell’attività in esame. Né rileva l’iscrizione dell’imprenditore in albi o l’esistenza di normative speciali che dettano regole particolari per lo svolgimento di essa in materia tributaria, come sottolineato dai locatori. Rileva infatti, ai fini del diritto all’indennità percui è causa, che non si tratti di attività caratterizzata dalle prestazioni di un professionista, ma dall’organizzazione per l’esercizio di impresa, circostanza che è riconosciuta da quella stessa giurisprudenza comunitaria citata dai controricorrentia pag. 20 del ricorso incidentale. Peraltro la migliore definizione si ritrova proprio nella sentenza del Tribunale comunitario di primo grado, che conferma quanto si viene affermando. Nella sentenza 30marzo 2000, resa nella causa n. 513/93 pendente tra il Consiglio Nazionale degli Spedizionieri Doganali e la Commissione Europea, si legge che “Secondo una giurisprudenza, costante, la nozione d’impresa abbraccia qualsiasi entità che eserciti un’attività economica, a prescindere dallo status giuridico della detta entità e dalle sue modalità di finanziamento (sentenze della Corte 23 aprile 1991, causa C-41/90, H. e E., Racc. pag. 1-1979, punto 21; 16 novembre 1995, causa C-244/94, Fédération francaise des sociétés d’assurance e a., Racc. pag. I-4013, punto 14, e 11 dicembre 1997, causa C-55/96, Job Centre, Racc. pag. 1-7119, punto 21), e che costituisce un’attività economica qualsiasi attività che consista nell’offrire beni o servizi su un determinato mercato (sentenza 18 giugno 1998, punto 36). Orbene, come la Corte ha statuito nella sentenza 18 giugno 1998 (punto 37), l’attività degli spedizionieri doganali presenta natura economica. Infatti, questi offrono, contro retribuzione, servizi che consistono nell’espletare formalità doganali, concernenti soprattutto l’importazione, l’esportazione e il transito di merci, nonché altri servizi complementari, quali i servizi appartenenti ai settori monetario, commerciale e tributario. Inoltre, essi assumono a proprio carico i rischi finanziari connessi all’esercizio di tale attività (sentenza della Corte 16 dicembre 1975, cause riunite 40/73-48/73, 50/73, 54/73-56/73, 111/73, 113/73 e 114/73, Suiker Unie e a./Commissione, Racc. pag. 1663, punto 541). In caso di squilibrio fra uscite ed entrate, lo spedizioniere doganale deve sopportare direttamente i disavanzi” E aggiunge il tribunale: “La Corte ha parimenti ritenuto, nella sentenza 18 giugno 1998 (punto 38), che (d)i conseguenza, il fatto che l’attività di spedizioniere doganale sia intellettuale, richieda un’autorizzazione e possa essere svolta senza la combinazionedi elementi materiali, immateriali e umani non è tale da escluderla dalla sfera di applicazione degli artt. 85 e 86 del Trattato CE”.
Respinto il ricorso incidentale, non resta che esaminare l’ottavo motivo del ricorso principale, con il quale parte conduttrice discute del riparto dell’onere della prova circa il contatto con il pubblico dei consumatori, sostenendo di non essere soggetta a tale onere perché una clausola contrattuale prevedeva che l’immobile sarebbe stato destinato ad attività avente contatto con il pubblico. La tesi non è da condividere, perché l’onere che grava sul conduttore al fine di conseguire l’indennità per la perdita di avviamento commerciale non è solo quello di dimostrare le condizioni iniziali della locazione, ma di provare che l’attività sia stata effettivamente svolta fino al momento della cessazione del rapporto (cfr per riferimenti Cass n. 9789/98 rv 519345). Peraltro la circostanza, come detto, è stata ritenuta provata dal giudice d’appello nei termini idonei al fine perseguito dal ricorrente.
L’accoglimento delle ragioni del F. consente alla Corte di Cassazione di decidere la controversia nel merito, poiché risultano positivamente sussistenti i due presupposti controversi per il riconoscimento dell’indennità di cui all’art 35 L 392/78: la natura imprenditoriale (nella specie commerciale) dell’attività svolta e il contatto diretto con il pubblico, inteso nei termini accertati dalla sentenza d’appelloa pag. 8. L’appello dei locatori risulta conseguentemente infondato e da ciò deriva anche la condanna dei soccombenti alla refusione delle spese dei giudizi di appello e di cassazione, liquidate come in dispositivo, avendo riguardo alla notula depositata in secondo grado.
P.Q.M.
La Corte, riunisce i ricorsi. Accoglie il terzo, quarto e settimo motivo del ricorso principale. Rigetta gli altri motivi ed il ricorso incidentale. Cassa in relazione ai motivi accolti e, pronunciando nel merito, rigetta l’appello. Condanna i controricorrenti al pagamento solidale delle spese del giudizio d’appello e di cassazione, che liquida quanto all’appello in Euro 700,0 per spese, 3.000,0 (tremila) per onorari e quanto al giudizio di cassazione in Euro 2.100,00 di cui duemila per onorari oltre spese generali e accessori di legge.
fonte: www.scenari.giuffre.it