sentenze

Telecom e spese di emissione e spedizione fattura

REPUBBLICA ITALIANA

UFFICIO DEL GIUDICE DI PACE IN MADDALONI
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Giudice di Pace di Maddaloni, dott. Alfonso di Nuzzo, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n° **/04 R.G. trattenuta in decisione il ** 2004, avente ad oggetto <>, vertente
TRA
**, rappresentato e difeso per procura in margine all’atto di citazione, dall’avv. Antonio Spallieri, col quale elettivamente domicilia in Maddaloni alla via Cucciarella 104 (p.co Alceda), attore
CONTRO
Telecom Italia S.p.A., in persona del procuratore speciale avv. Vittorio Fusco, rappresentato e difeso, per procura in margine alla comparsa costitutiva dall’avv. ** e con questi elettivamente domiciliato in ** alla via **, convenuto.
CONCLUSIONI RAPPRESENTATE DALLE PARTI
Per l’attore: accoglimento della domanda e per l’effetto condannare la società convenuta al pagamento della somma di € 18,61 o alla somma che stabilirà il Giudicante, oltre interessi dalla mora al soddisfo, nel limite dell’esenzione fiscale. Vittoria di spese con attribuzione.
Per il convenuto Telecom Italia S.p.A.: rigetto della domanda. Vittoria di spese, diritti ed onorari del giudizio.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione ritualmente notificato il ** 2004 alla convenuta Telecom Italia S.p.A. l’attore assume: – d’essere titolare di contratto d’utenza telefonica, convenuto con la società convenuta, contraddistinto dal numero telefonico 0823407696; – che l’art. 21, comma 8o, della legge 633/72 prevede che le spese di emissione della fattura e dei conseguenti adempimenti non possono formare oggetto di addebito; – che il convenuto gestore telefonico contravvenendo a tale divieto, nel corso degli ultimi dieci anni ha addebitato all’attore, ogni bimestre, la somma di € 0,31; – che complessivamente la somma indebitamente incassata dalla Telecom Italia S.p.A. ammonta a € 18,31 della quale ne chiede la restituzione in via giudiziale, essendo risultato vano il tentativo di bonario componimento. Tanto premesso, l’attore citava innanzi a questo Ufficio Giudiziario il Telecom Italia S.p.A., nella persona del legale rappresentante pro tempore, onde ottenerne la condanna alla restituzione della somma di € 18,31 oltre interessi.
Con comparsa di costituzione e risposta si costituiva in udienza Telecom Italia S.p.A., la quale contestata la domanda, che ritiene inammissibile e improcedibile – e sottolineata la dimensione collettiva delle pretese dell’istante e la loro incidenza sull’assetto economico di Telecom Italia S.p.A. – eccepiva altresì: il difetto di giurisdizione del Giudice ordinario per affermare, invece, la giurisdizione tributaria; l’improcedibilità della domanda per mancato esperimento del tentativo di conciliazione; l’inesistenza di una previsione di legge che pone le spese di spedizione postale a carico di chi emette la fattura.
Incardinato il giudizio, le parti comparivano all’udienza di scadenza del ** 2004 ognuna riportandosi alle proprie ragioni. Attesa la natura documentale della causa, sull’accordo dei procuratori, il Giudice rinviava per conclusioni e discussione all’udienza del ** successivo allorquando, sulle conclusioni delle parti e previa discussione, la causa è stata trattenuta in decisione con termine per memorie conclusionali fino al ** 2004, tempestivamente depositate dai procuratori.
MOTIVI DELLA DECISIONE
In limine litis. Va premesso, anzitutto, che non è stato possibile, per l’indisponibilità delle parti in causa, addivenire alla conciliazione della lite.
Va precisato, poi, che attenendo la causa a rapporti giuridici relativi a contratti conclusi secondo le modalità di cui all’art. 1342 C.C., la causa è decisa secondo diritto (art. 113, II comma, C.P.C.).
1. Sulla questione dell’addebito delle spese postali. Sulla competenza del G.A.
La questione necessita d’una breve disamina.
Nel 1984 un apposito DPR (il n. 523 del 13 agosto 1984, in Supp. Ord. alla Gazz. Uff. n. 239 del 30 agosto 1984) ha concesso in esclusiva – ovvero, in monopolio – alla SIP (all’epoca unico gestore telefonico in Italia) l’installazione e l’impianto di telecomunicazioni in ambito nazionale ad uso pubblico, secondo le modalità e limitazioni contenute in una convenzione (approvata all’art. 6 della stessa legge) stipulata con l’allora Ministero delle Poste e Telecomunicazioni che all’art. 53 conferiva al concessionario – cioè la SIP – il potere di riscuotere direttamente i corrispettivi dei servizi resi agli abbonati mediante bollette periodiche, addebitando le sole spese postali nella misura prevista per le fatture commerciali aperte e salva la facoltà per gli abbonati di ritirare le bollette di pagamento presso gli uffici della SIP senz’altro addebito di spese.
La durata della concessione, per espressa disposizione del I comma dell’art. 5 del richiamato DPR, fu stabilita in <>. Ma già prima della scadenza il settore telefonico italiano è stato, come suol dirsi, privatizzato.
Con D.P.R. del 19 settembre 1997 n. 318, infatti, lo Stato Italiano ha recepito le direttive comunitarie nel settore delle telecomunicazioni, emanando norme che assicureranno, dal 1° gennaio 1998, la piena liberalizzazione del settore anche per quanto riguarda la telefonia di base.
Il processo di riorganizzazione delle telecomunicazioni italiane, compiutosi definitivamente negli anni novanta con la piena attuazione delle direttive dell’Unione Europea (dal 1998, infatti, i servizi di telecomunicazione a utenza privata e non, possono essere forniti sia da aziende italiane che straniere), ha determinando una profonda modifica del comparto della telefonia contrassegnata dalla fine del monopolio di Stato e dall’ingresso di nuovi operatori sul mercato (art. 2 lett. a, DPR 318/97) tra i quali Telecom Italia S.p.A., nella quale è confluita, insieme ad altre società del settore telecomunicazioni, la SIP (il cui capitale sociale, infatti, era posseduto direttamente o indirettamente dall’I.R.I., come specifica il DPR 523/84).
La Convenzione del 1984 (non allegata agli atti ma soltanto) richiamata da Telecom Italia S.p.A. a sostegno della sua linea difensiva, insomma, può dirsi decaduta di fatto con la soppressione del regime di concessione in monopolio che ha introdotto, nel sistema economico italiano, una situazione di libero mercato con il rilascio di licenze per la fornitura del servizio telefonico; ma anche in punto di diritto quella convenzione è inapplicabile per intervenuta decadenza.
L’art. 5 del DPR 523/84 dispone, infatti, che la concessione alla SIP (oggi Telecom Italia S.p.A.) ha durata di venti anni decorrenti dal primo giorno del mese successivo a quello della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del presente decreto. Ebbene, siccome quella legge è stata è pubblicata il 30 agosto del 1984, essa è decaduta ex lege il 2 settembre del 2004, e la decadenza della legge trascina con se, e non potrebb’essere altrimenti, la convenzione del 1984 formante l’allegato 1 a quella legge.
Ma il DPR 523/84 era già decaduto con l’introduzione nell’ordinamento giuridico del DPR 318/97, che nelle norme finali all’art. 21 testualmente dispone: <<1. Il presente regolamento lascia impregiudicate: a) le norme specifiche già adottate in materia di diffusione di programmi audiovisivi destinati al pubblico nonchè del relativo contenuto; b) le misure adottate in materia di difesa e per motivi di pubblico interesse, segnatamente in relazione alla moralità pubblica, alla pubblica sicurezza, ivi comprese le indagini sulle attività criminali, e all'ordine pubblico; c) le disposizioni in materia di tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali ed in particolare la disciplina di cui alle leggi 31 dicembre 1996, n. 675 e n. 676, nonchè le attribuzioni demandate al Garante per la protezione dei dati personali anche riguardo alla tematica della sicurezza. 2. Salvo quanto espressamente disposto dal presente regolamento, continuano ad applicarsi le vigenti disposizioni in materia di telecomunicazioni. Continuano in particolare ad applicarsi, per le finalità di cui all'art. 6, commi 20 e 21, e fino a diverso provvedimento dell'Autorità, le disposizioni di cui all'art. 188 del codice postale.>>.
Va da sé che non avendo il legislatore del ‘97 espressamente fatto salvo il DPR 523/84, questa legge deve ritenersi implicitamente abrogata dalle nuove e successive disposizioni legislative, e che essendo abrogate le fonti normative che prevedono l’imputazione della spesa, è esclusa la competenza del Giudice Amministrativo. L’eccezione in questo senso spiegata da Telecom Italia S.p.A., pertanto, è respinta.
2. Sulla pretesa giurisdizione del Giudice Tributario.
Dev’essere respinta l’altra eccezione di difetto di giurisdizione spiegata dalla convenuta Telecom Italia S.p.A.
La convenuta la sostiene motivandola ai sensi dell’art. 2 (primo periodo) del dec. lgs. n. 546/1992, secondo il quale <>.
Preposto che a pag. 7 della comparsa costitutiva la stessa società convenuta riconosce che le spese postali sono eventuali e non rispondono a logiche e ad obiettivi tributari, sta di fatto che parte attrice non contesta il pagamento di un tributo, bensì invoca la restituzione di somme ingiustamente addebitate e pertanto percepite indebitamente dalla convenuta a titolo di spese di spedizione di fatture nonostante il divieto dettato dell’art. 21, comma 8, della legge 633/72.
La competenza, pertanto, è senz’altro del G.O. e, sotto il profilo del valore e territorio, di questo Giudice di Pace.
3. Sulla procedibilità della domanda.
Un’altra questione posta in sede di eccezioni preliminari è quella concernente la procedibilità della domanda in funzione del mancato preventivo esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dalla Delibera AGCOM n. 182102/CONS, secondo la quale gli utenti singoli o associati, ovvero gli organi di telecomunicazioni, che lamentano la violazione di un proprio diritto o interesse protetti da un accordo di diritto privato o dalla norma in materia di telecomunicazioni attribuite alla competenza dell’autorità e che intendono agire in giudizio, sono tenuti a promuovere preventivamente un tentativo di conciliazione dinanzi al CORECOM competente per territorio.
L’eccezione non può essere accolta. Questa normativa non può trovare applicazione nella fattispecie in esame perché il tentativo obbligatorio di conciliazione, norma speciale insuscettibile d’interpretazione estensiva, è circoscritto alle controversie aventi ad oggetto diritti tutelati da accordi di diritto privato o da norme in materia di telecomunicazioni, non per la tutela di un diritto soggettivo protetto da una norma di legge (nella specie, l’art. 21, D.P.R. n. 633/1972 e l’art. 2041 C.C.).
4. Nel merito. Sulla portata dell’art. 21 del DPR 633/72.
Se su un punto entrambe le parti concordano è sulla norma dell’ultimo capoverso dell’art. 21 del DPR 633/72, come sostituito dall’art. 1, del DPR 24/79, secondo il quale <>; ovviamente, diverse sono le rispettive interpretazioni.
La difesa di Telecom Italia S.p.A. spende molte argomentazioni per sostenere la differenza, che a suo parere sussiste, tra l’emissione della fattura e la sua spedizione; a suo avviso, infatti, emettere una fattura non vuol dire spedirla. Ma i ragionamenti della convenuta degradano di fronte all’effettività della legge.
Recita testualmente il primo comma del richiamato articolo: <>.
Emissione e spedizione, ebbene, non sono atti tra loro distinti ma fatti dello stesso procedimento rientranti in quegli adempimenti e formalità che, per espressa volontà del legislatore, non possono formare oggetto d’addebito a qualsiasi titolo.
Ma anche a voler ammettere – in via del tutto ipotetica – una qualche fondatezza alle tesi esposte in merito dalla convenuta società, sopravviene comunque imprescindibile l’art. 12 delle “preleggi” al C.C. per il quale <>, che nel caso di specie (l’intenzione del legislatore, cioè) appare mossa soltanto dall’intento di tener esente chi riceve una fattura dalle spese di spedizione della stessa, anche se questo comporta costi elevati, come tiene ad evidenziare la difesa di Telecom Italia S.p.A.
Ma insiste la difesa di Telecom Italia S.p.A.: perché mai il legislatore dovrebbe impedire il recupero delle spese di spedizione attraverso l’addebito al destinatario?
Sui motivi che hanno determinato il legislatore a non prevedere espressamente la possibilità per il professionista di recuperare le spese di spedizione della fattura non è dato a questo Giudice rispondere o supporre. E’ un fatto, però, che nessuna norma (e nessuna ne richiama la società convenuta) legittima l’addebito delle spese di spedizione, e ubi lex voluit, dixit.
5. Sulle pattuizioni contrattuali tra il convenuto gestore telefonico e l’utente.
Sostiene la difesa di parte convenuta che l’attore nel sottoscrivere il contratto di utenza, ha accettato l’onere di sopportare le spese postali in virtù di espressa pattuizione contrattuale.
Circa il richiamo della società convenuta al noto art. 14 delle Condizioni generali d’abbonamento, deve obiettarsi che questa clausola è inserita in un contratto “di massa” imposto dall’imprenditore commerciale all’utente consumatore che è privo di ogni diritto nella contrattazione; la condizione perciò è inefficace ai sensi dell’art. 1469 quinquies n. 3 C.C. costituendo una clausola vessatoria. La specifica pattuizione, quindi, deve intendersi nulla ai fini della decisione, e la relativa eccezione respinta.
6. Sulla scelta delle parti del servizio postale.
Argomenta la società convenuta (pag. 7 della comparsa) che <>.
La deduzione non risponde alla verità dei fatti così com’emergono dall’esame di questo Giudice.
Da nessuna parte, infatti, è consentito evincere che le parti hanno liberamente scelto d’avvalersi del servizio postale per il recapito delle bollette di pagamento; anzi, tutt’altro!
Stando a quanto ne riporta la società convenuta nella comparsa costitutiva, l’invocato art. 53 della Convenzione dell’84 prevedeva si che la riscossione del servizio fruito dall’abbonato potesse avvenire tramite bollette di pagamento spedite al suo domicilio tramite il servizio postale, ma anche che l’abbonato poteva ritirare la bolletta presso gli uffici della società senza addebiti di spese.
Evidentemente la società convenuta intende quell’articolo soltanto in ragione della sua convenienza, perché che da molto tempo non esistono più uffici della società presso cui gli utenti possono ritirare la bolletta di pagamento senz’altri addebiti, e la sola considerazione di questa circostanza oggettiva vale ad escludere qualsivoglia pretesa scelta concordata tra il gestore e l’utente di recapito della bolletta di pagamento tramite il servizio postale con conseguente addebito di spese, oltre a rappresentare, per altro verso nient’affatto trascurabile, la pratica negazione di un diritto dell’utente costretto a sopportare addebiti ingiusti ed illegittimi.
7. Sul quantum richiesto dall’attore.
Addebitando le imputate spese di spedizione, comprovate dall’attore mediante allegazione delle bollette di pagamento, Telecom Italia S.p.A. ha realizzato un illecito arricchimento che legittima il diritto dell’istante d’ottenere la ripetizione di quanto indebitamente pagato, quantificato in domanda nella misura di € 18,60 maggiorata dagli interessi legali a far tempo dalla mora sino all’effettivo soddisfo.
Sulla somma pretesa dall’attore, però, questo Giudice non concorda.
Il DPR 523/84 è stato abrogato nel 1997 con l’introduzione del DPR n. 318 che data 22 settembre; dunque soltanto da quell’anno, calcolata la vacatio legis, può decorrere a carico della società convenuta l’obbligo di ripetizione delle somme indebitamente percepite.
Ciò posto, non può liquidarsi all’attore la somma di € 18,61 giacchè questa si pretente con riferimento all’intero termine di prescrizione (10 anni) mentre il suo diritto decorre dall’ultimo bimestre dell’anno 1997 sino ad oggi.
Pertanto, si riconosce all’attore il diritto a vedersi rimborsato da Telecom Italia S.p.A. le spese di spedizione ingiustamente addebitategli, ma dall’ultimo bimestre 1997 sino ad oggi, liquidandogli complessivamente la somma di € 13,33.
Sulla somma così liquidata graveranno gli interessi legali dalla mora sino all’effettivo soddisfo.
8. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P. Q. M.
il Giudice di Pace di Maddaloni, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, così provvede:
in via preliminare
r e s p i n g e
respinge le eccezioni preliminari della convenuta Telecom Italia S.p.A.;
nel merito
a c c o g l i e
parzialmente la domanda di ** e per l’effetto
c o n d a n n a
Telecom Italia S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata presso lo studio legale dell’avv. ** in ** alla via **, a pagare all’attore la somma di € 13,33 oltre interessi legali dalla mora all’effettivo saldo, in uno alla refusione delle spese processuali del presente giudizio, liquidate in complessivi € 150,00 di cui € 75,00 per diritti, € 75,00 per onorario, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge, con attribuzione al procuratore che ne fa espressa richiesta.
Sentenza esecutiva come per legge.
Così deciso in Maddaloni il 20 dicembre 2004
IL GIUDICE DI PACE
(dott. Alfonso di Nuzzo)
Sentenza pubblicata in data 29 dicembre 2004
IL CANCELLIERE
(Antonio Perrone)

fonte: www.ricercagiuridica.com